Una bandiera per la coscienza


Le prime sono comparse quasi timidamente, esposte con una punta di orgoglio da chi in tempi non sospetti intendeva manifestare la propria posizione. Qualcuna addirittura era già stata utilizzata qualche anno prima e riposta in un cassetto dal quale inevitabilmente sarebbe stata recuperata. Tutte le altre sono progressivamente arrivate, quasi come per incanto, in rapida successione, un po’ come fossero ciliegie che una tira l’altra.

Se queste note cromatiche affacciate a un numero rilevante di balconi sono alla fine diventate il simbolo di un periodo storicamente importante, il significato spesso attribuito alle bandiere cosiddette ‘della pace’ arriva talvolta a sconfinare ben oltre il motivo originale.

Dietro il presunto desiderio di una folla desiderosa di radunarsi intorno a un’ideologia politicamente trasversale e impotente di fronte ad avvenimenti fuori dal proprio raggio d’azione, hanno però trovato largo spazio infiltrazioni di vario tipo, dal grottesco al riprovevole.

Appaiono infatti diverse le situazioni che lasciano più di qualche perplessità. Prima di tutte la strana proliferazione a macchia d’olio non appena il solito opportunista di turno ha provato a caricare queste bandiere di un significato sociale, non legato a una corrente politica, ma piuttosto a un sentimento: se esponi la bandiera sei un pacifista, altrimenti vuol dire che sei a favore la guerra, salvo naturalmente caricarle di un significato politico subito dopo. Se in diversi di fronte a queste striscianti insinuazioni hanno voluto trasformarsi in ‘eroi pacifisti’ (correva addirittura la voce che la polizia effettuasse accertamenti su chi esponesse il simbolo), altri che non hanno ritenuto opportuno affidare i propri sentimenti a un metro quadro di stoffa colorata, talvolta si sono trovati oggetto di accuse neppure tanto velate.

Sulla scia di questo movimento che tendeva a riconoscersi sotto un unico simbolo, è cresciuta una lunga serie di varianti, con sincere bandiere fai da te, ma soprattutto con bandiere prodotte in tutta fretta con arcobaleni dalla combinazione di colori spesso casuale, pur di non essere messi alla berlina. In mancanza di meglio, anche una tovaglia o un vestito sufficientemente variopinti hanno fatto allo scopo.

Immancabilmente è arrivato chi non ha perso l’occasione per avviare un discreto business e guadagnare cifre non indifferenti: praticamente ogni tipo di esercizio commerciale rivendeva le bandiere della pace, mentre diversi in questo modo sono riusciti con poco sacrificio a sentirsi a posto con la propria coscienza. Poco importa poi a chi finisse in mano il ricavato delle vendite: si può escludere che dietro non ci fosse qualche tanto odiata multinazionale, oppure qualche produttore per cui la pace non fosse un sentimento ma un affare o, perché no, la stessa persona contro la quale si era trovata un’ottima, e un po’ subdola, scusa per protestare?

Ma l’animo del pacifista era troppo impegnato per pensare a questo. Più importante era ritrovarsi in tanti a gridare slogan, a sentirsi coraggiosi ribelli di fronte ai potenti, a proclamarsi fratelli di perfetti sconosciuti e al termine tornare nelle proprie case a condurre la propria vita consumistica di sempre.

Intanto la guerra, quella vera, avanzava inesorabile, le bandiere sui balconi cominciavano a manifestare i primi segni di affaticamento, speso provate dalle intemperie e dallo smog, e lanciare anatemi contro il ‘cattivo’ potente e arrogante che si accanisce contro il ‘povero’ dittatore di turno, o viceversa, a seconda dei punti di vista, non era più solo un’idea, ma stava diventando uno stile di vita.

Almeno all’apparenza, perché dietro poco cambiava: strade, cinema, ristoranti e spiagge erano frequentate almeno come prima, tutti coloro pronti a manifestare a sostegno di civili innocenti e ridotti alla fame (dalla guerra, ma mai da una dittatura), concludevano le manifestazioni in un bagno di calorie. I più impegnati sentivano invece il dovere di spendere parole a non finire, ma sempre e solo alla condizione di non dover passare ai fatti. Non tanto con azioni dimostrative, di presunti ‘pacifisti’ scatenati in rabbiose distruzioni incontrollate ce ne sono fin troppi, quanto a solidarietà concreta, che andasse oltre slogan e poco impegnative prese di posizione. La bandiera esposta sul balcone fa apparire ‘bravi’ agli occhi di tanta gente, ma forse le persone in nome delle quali si è fatto tanto rumore, avrebbero preferito qualche cosa di più concreto: cibo, acqua, assistenza, ecc. Una presenza di bandiere su più del 20% dei balconi veniva senza esitazione definita “Una bella dimostrazione di compattezza” (di che cosa, del condominio? Ne riparliamo alla prima assemblea) o dava vigore ad affermazioni tipo “Se continuiamo così, non possono ignorarci” (Chi? Vuoi vedere che la persona a 5.000 Km di distanza che sta lanciando un missile, all’ultimo momento tentenna chiedendosi quante bandiere sono appese alle finestre delle città italiane?).

Sorge così il sospetto che la bandiera sul balcone sia solo un pretesto per sentirsi in qualche modo ‘ribelli’ verso il ‘grande’, in pratica, una sindrome da Davide contro Golia. Sospetto che aumenta il momento che le stesse persone che un attimo prima si professano paladini del mondo ‘perseguitato’ un attimo dopo sono pronti a fare shopping per aggiornare il guardaroba all’ultima moda, a rincorrere i locali più esclusivi (retaggi solitamente proprio di quei Paesi tanto vituperati), ma non esitano a rivendicare con vigore e sdegno il diritto ‘a divertirsi’ non appena gli viene chiesto se invece di sfoggiare un arcobaleno non sarebbe più proficuo passare agli aiuti più concreti, anche a costo di rinunciare a cose assolutamente futili.

Mentre il tempo passa, le vittime, quelle vere, fanno sempre meno notizia (anche fare i ribelli stanca e dopo un po’ diventa ‘out’) e le bandiere malinconicamente appaiono sempre più provate e dimenticate. Per ridare loro importanza si potrebbe proporre a Lega Ambiente di utilizzarle per le dimostrazioni antismog, misurando l’impatto dell’inquinamento sui vari colori e ricavarne uno studio più approfondito di quello reso disponibile dalle ben note bandiere bianche dell’Associazione. Le poche sfuggite alle pulizie di primavera, alle vacanze e agli eventi, rispondono sempre più a fatica alle sollecitazioni del vento, ripiegate sempre più spesso negli anfratti delle ringhiere, in attesa che i legittimi proprietari decidano se riporle in attesa che la prossima ondata pacifista ritorni di moda o che tornino buone per la protesta contro l’istituzione di turno.


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