Cose strane dal mondo: restare in forma


Esco di casa di buon mattino, prendo figlia e macchina e faccio rotta verso l’asilo. Ben presto mi trovo intasato in un lunga coda di genitori che premurosamente scortano i propri pargoli a scuola. Niente di strano, se non che l’operazione deve essere espletata come una formalità nel minor tempo possibile e con il minor dispendio di energie. Il genitore infatti, senza accostare, si ferma esattamente davanti al cancello, apre la porta al figlio/a, saluta frettolosamente, lo fa scendere, assiste premuroso che egli abbia varcato il cancello e solo allora riparte. A questo punto la scena si ripete con la vettura seguente.

Forse sarebbe troppo scontato posteggiare e scendere per accompagnare il figlio: si rischierebbe di perdere almeno cinque minuti cinque e non creare disagi a chi si trova dietro incolonnato. Appunto, se questo comportamento da parte della macchina che ci precede crea immediate reazioni scomposte, fatto in prima persona trova sempre giustificazione.

Dopo l’ennesimo tentativo di spiegare a mia figlia perché noi invece posteggiamo, entriamo insieme passando dal cancello pedonale invece di prendere la scorciatoia attraverso il posteggio dove si torva in bella vista un cartello di divieto di accesso ai pedoni, mi intrattengo addirittura qualche minuto in aula prima di salutarla e ritorno sui miei passi per raggiungere la stazione.

Sul percorso la stessa scena si ripete diverse volte nei pressi di ogni scuola, anche le superiori, dopodiché si scatena la caccia al posteggio. Per quella strana legge secondo la quale i vigili passano solamente quando uno si azzarda a lasciare la machina in prossimità di divieti di sosta bizzarri (dalle sei alle nove del mattino), lascio il mio mezzo ben lontano dai binari e mi avvio tranquillamente a piedi.
Sul treno sono diversi a guardare con distacco i dieci scalini necessari per andare a cercare un posto al piano superiore del vagone. Al termine del viaggio invece, assisto in metropolitana a scene di disappunto, disperazione e rabbia per una scala mobile ferma che costringe i passeggeri a farsi carico di ben tre o addirittura quattro rampe di scale.

Uscito all’aria aperta mi imbatto nell’ennesima scuola, anche in città dove gli istituti sono nel raggio di poche centinaia di metri la storia non cambia, e in una serie di auto lasciate almeno in doppia fila in prossimità di qualsiasi negozio, anche se esiste un comodo posteggio a non più di cinquanta passi.

Proseguo sul marciapiede, attento a evitare motorini vari che non possono sopportare la fatica di guidare per qualche decina di secondi di più in strada, mentre attraverso una via sulle strisce pedonali rischio di essere travolto da una macchina che si infila contromano per accorciare il percorso di poche centinaia di metri.

Entro nel palazzo dove si trova l’ufficio e trovo una piccola folla borbottante perché l’ascensore va a rilento e intanto che salgo ben due piani a piedi sento l’ascensore che scarica parte del suo carico umano al primo piano e altrettanto al secondo.

All’ora di pranzo, a circa dieci minuti a piedi dall’ufficio, trovo una elevata concentrazione di macchine esattamente davanti a bar, ristoranti e trattorie in una sorta di gara delirante a chi posteggia più vicino al luogo di destinazione, incurante di occupare marciapiedi, passi carrai piuttosto che ampi posteggi con l’unico torto di richiedere qualcosa come tre minuti di passo tranquillo.

Alla sera la scena si ripete tale e quale con gli interpreti inaspriti da una giornata occupata in buona parte a rivendicare il diritto di avere a disposizione ogni agio, comodità e giustificazione.

Mentre sto per rientrare a casa trovo tutte queste persone affannarsi per andare a chiudersi in palestra (a pagamento) per fare un po’ di sano movimento, perché si sentono vittime di una vita troppo sedentaria…..

E la domenica, quando vado a correre, o in bicicletta, o semplicemente a passeggiare per prati e boschi, passo sopra cavalcavia dove le stesse persone trascorrono buona parte del loro tempo libero incolonnati per raggiungere il ‘meritato’ riposo del fine settimana. Oppure passo davanti alle finestre di una palestra dietro le quali gli avventori guardano con un po’ di compassione quest’uomo sfortunato che non può permettersi di correre su un tapis roulant o pedalare su una cyclette, ma è ahimè costretto a subire l’umiliazione di sgambettare per sentieri e inforcare una vera bicicletta e, addirittura, è vergognosamente privo di un personal trainer.

Vuoi vedere che non ho capito niente dei piaceri della vita?


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