GSM: Gridare Senza Motivo


dedicato allo 'zio' Ale, uno dei lettori più affezionati.

Difficile restare indifferenti davanti a uno dei fenomeni più capillari che ha colpito la nostra generazione negli ultimi anni: la telefonia cellulare. Una volta fugato ogni dubbio sul fatto che non si tratta di una nuova forma di comunicazione riservata ai detenuti, è possibile azzardare una curiosa analisi dell’evento, per cercare di afferrare come è perché certe situazioni sono cambiate con l’avvento della telefonia mobile e se si può veramente parlare di un fattore di progresso.

A muoversi all’interno dei confini nazionali, la prima domanda che oggi sorge spontanea è: “Ma come si faceva quando non c’era?”. A parte la banalità apparente della domanda, che può apparire quasi scontata e retorica, è possibile scorgere un altro punto di vista: ma siamo noi che usiamo il telefono cellulare, o è lui che detta i ritmi della nostra vita, non solo nel bene?

Già l’appellativo di “telefonino” appare un po’ bizzarro, ma rende perfettamente l’idea di come, esaurito precocemente il periodo di gadget esclusivo, l’oggetto sia di fatto diventato il giocattolo preferito, spesso facendo regredire all’età mentale dei giochi il suo possessore. Qualcosa di paragonabile sono riusciti a fare solo nella lingua tedesca, scovando l’appellativo di “handy”: un assonanza che italiani sicuri del fatto loro e presunti moralisti repressi dalla patria, incontrando in un ristorante tedesco cartelli del tipo: “no handy bitte”, hanno promosso una levata di scudi contro la presunta insensibilità del titolare nei confronti degli handicappati.

Tornando invece tra le mura domestiche, è curioso osservare come il telefonino si sia rapidamente trasformato in un inaspettato strumento di esibizionismo nazional-popolare. Quello che potrebbe essere un prezioso e utile strumento per mettersi in contatto senza la spesso avventurosa ricerca di cabine telefoniche sovente trasformate in colture di batteri semisconosciuti e relative monetine o schede, si trasforma invece in strumento di improbabile egocentrismo. Alcune situazioni emblematiche: quando una persona riceve una chiamata, buon senso in genere vorrebbe che, soprattutto se si tratta di una conversazione importante, l’interessato cerchi di appartarsi un luogo defilato e tranquillo. Al contrario, è scena ormai tristemente abituale captare uno squillo nevrotico a tutto volume e assistere a una scena dove il proprietario del telefono si scatena prima di tutto in una danza tribale alla ricerca del prezioso oggetto, con l’ansia di non riuscire a rispondere per tempo e perdere così l’occasione della vita. Una volta estratto l’apparecchio, si potrà assistere a una tranquillizzante frase di risposta del chiamato in preda alle palpitazioni che, una volta preso fiato, cercherà la posizione più in vista del luogo dove si trova per cominciare a sbraitare e a sbracciarsi ad ampio raggio. Alla prima opportunità verranno emanate frasi di disappunto per la notizia, qualsiasi notizia, seguite da affermazioni del tipo “adesso devo pensarci io”, piuttosto che “appena posso arrivo e sistemo tutto”, e via dicendo. Poco importa che nel frattempo sia caduta la linea o l’interlocutore sia la moglie che detta la lista della spesa.

Se l’esperienza porta a prendere con la dovuta sufficienza tali manifestazioni di ego represso, le prime volte può sorgere una giustificata apprensione per quanto avviene dell'altra parte dell’etere.

Sempre da ricollegare a esigenze del genere, alcune reazioni all’apparenza anomale riscontrate in risposta a certe chiamate: se la persona si trova in un luogo totalmente isolato, allora la chiamata apparirà solo come un’opportunità di farsi notare gettata al vento. A nulla in genere valgono corse forsennate mirate a raggiungere entro la fine della conversazione i primi segni di civiltà o di presenza umana.

Dietro la voglia di usare il telefono cellulare per farsi notare e sentirsi importanti, in realtà si nasconde spesso un modo di agire largamente omologato. La conversazione tipo infatti, segue rigidi dettami:

-         “pronto”

breve pausa per dare modo all’interlocutore di qualificarsi

-         “ciao”

seguito, senza prendere fiato, dall’immancabile:

“sono in treno/bus/tram/via/piazza….”

come per rassicurare circa la nostra posizione e quindi la possibilità di intervenire in tempo utile. Che poi si tratti solo di una persona che ha sbagliato numero, piuttosto che della suocera, questo è irrilevante: in fondo chi ascolta intorno non può sapere niente di tutto questo.

Interessante come diverse persone abbiano faticato a comprendere quanto fosse del tutto inutile inscenare conversazioni all’interno di una carrozza della metropolitana, appurata l’improbabilità di avere un minimo segnale. Le stesse persone che riescono a interpretare come invidiosi e ammirevoli sguardi di commiserazione.

Siccome dopo queste frasi standard in genere le conversazioni tendevano a languire, soprattutto per la preoccupazione del chiamante di non lasciare una fortuna in telefonate senza senso, le compagnie telefoniche sono riuscite a inventarsi un nuovo incentivo: la ricarica. In questo modo si assiste a scene simpatiche dove il chiamante prova a troncare la conversazione in tutti i modi senza sembrare scortese e il chiamato trova invece continui spunti per raggranellare minuti preziosi di ricarica. Spesso la volatilità della rete viene in aiuto al chiamante, in grado di chiudere improvvisamente il telefono, scaricando la responsabilità sulla mancanza di copertura.

Altro aspetto curioso è la crisi da astinenza di chiamate. Ovunque è possibile assistere a persone che rigirano in mano nervosamente il prezioso telefonino controllando ripetutamente la presenza del segnale e manifestando vistosamente il disappunto e la perplessità sulla totale assenza di squilli.

A proposito di squilli, da notare come l’evoluzione tecnologica abbia portato molto lavoro agli psicanalisti. Solo tramite un’approfondita ricerca interiore si potrebbero infatti comprendere le scelte di certe sequenze agghiaccianti di note casuali, prodotte naturalmente a volumi assordanti e in grado di far sobbalzare i presenti nel raggio di decine di metri. In casi contrari invece, di chi utilizza cioè le suonerie standard si può assistere al fenomeno del “morso della tarantola”: al momento dello squillo una moltitudine di persone comincia a contorcersi in movimenti inconsulti alla ricerca del proprio telefono per capire non solo dove si trova, ma anche se è da quello che proviene la chiamata.

Mentre la prima scelta appare logica nella politica del farsi notare a tutti i costi, la seconda è sintomo di strategia più sottile: dopo aver illuso un certo numero di avventori, si può provare la soddisfazione vagamente perversa di vedere intorno a sé una serie di facce deluse e sconsolate, spesso al limite della depressione. Certo trattasi di arma a doppio taglio, ma una buona dose di training autogeno riesce a preparare alle situazioni più disperate: quelle dove per più di tre volte consecutive il telefono che squilla non è il proprio.

Un approfondimento a parte meriterebbe il comportamento dell’automobilista-telefonista. Trattasi in genere di soggetti particolarmente pericolosi, non solo per le acrobazie alle quali costringono automobilisti e pedoni che per malasorte si trovano nei paraggi, ma che dimostrano anche segni inquietanti di scompensi emotivi, alla luce di come essi valutino troppo onerosa la spesa per l’acquisto di un auricolare, ma non quella del telefono nuovo ogni tre mesi.

Se invece ci limitiamo alle innocenti enfatizzazioni del carattere umano, anche l’auricolare può avere il suo ruolo. Quando la chiamata non basta a ostentare una presunta “importanza”, ecco che l’accessorio può tornare utile. Soggetti che si infilano l’auricolare nell’orecchio al mattino e non lo tolgono fino a sera, possono infatti simulare una serie senza sosta di chiamate, anche quando in realtà non si sono accorti che nel frattempo l’auricolare si è scollegato.

Fermo restando la praticità e utilità dei telefoni cellulari, resta la curiosità circa l’ulteriore conferma di come una tecnologia nuova non possa limitarsi a migliorare l’esistenza, ma debba essere sfruttata oltre il limite del buon senso, fino a sconfinare nel grottesco: capita infatti che mentre uno perda del tempo a scrivere amenità su questo argomento si trovi di fronte un soggetto impegnato a usare il telefono come segnalibro, spostandolo giudiziosamente sopra ogni pagina girata, pronto a battere il record di velocità in risposta. Oppure che una curiosa compagna di viaggio, dopo essersi calata il cappello sopra gli occhi, si rilassi e tenga stretto in mano il magico telefonino puntato in modo di fare da sveglia al momento di scendere dal treno.


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