Normale sarà lei!


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Ci sono alcune parole e alcuni concetti il cui significato è all’apparenza banale e scontato, ma che, se analizzate un po’ più a fondo, rivelano spunti interessanti e curiosi. Pensiamo al termine ‘normale’; all’apparenza è una delle parole più semplici e immediate da definire e comprendere, ma se ci soffermiamo a pensarci un omento, ecco che vengono subito stimolate riflessioni perlomeno curiose. Che cosa si intende per ‘normale? Che cosa è ‘normale’? E che cosa non lo è?

Tutti siamo abituati a considerare normali le cose, gli usi e le abitudini per come ci sono state insegnate, per come le abbiamo vissute, oppure semplicemente perché le abbiamo sempre vissute in quel modo e non siamo abituati a vederle in modo diverso. Le parole ‘dicembre’ e ‘Natale’ evocano subito il pensiero dell’inverno e della neve e collegarle a caldo ed estate sembra un nonsenso. Ma cosa succede se lo stesso ragionamento lo facciamo da parte di un abitante dell’Australia, del Brasile o dell’emisfero australe? Per loro è evidente che il Natale viene d’estate e collegarlo al freddo può semmai apparire proprio una stranezza, o meglio, poco ‘normale’.

Di situazioni analoghe ovviamente se ne possono trovare un’infinità, ma, mentre per alcune si tratta solo di usi e tradizioni, altre invece sono conseguenza di abitudini che portano a curiose contraddizioni. Se a uno qualsiasi di noi venisse in mente di guidare contromano sulla corsia di sinistra (in questo caso non si tratta della curiosa categoria dei ‘sinistroidi’ – vedi articolo dedicato -), immediatamente verrebbe preso per pazzo o delinquente, ma guai a fare una cosa diversa in Gran Bretagna, a non così tanti chilometri da noi. Provate a convincere un inglese che sono ‘loro a guidare dalla parte sbagliata e non noi continentali. Da questo, una prima conclusione importante: molte cose (regole, usanze e, in Italia, leggi) hanno diverse interpretazioni, nessuna delle quali può essere considerata giusta o sbagliata se si accetta ciascun ragionevole punto di vista.

Altre situazioni invece possono essere sintomatiche di alcuni caratteri tipici: abitudine e tradizione sì, ma a volte anche e soprattutto civiltà, o semplicemente buona educazione.

Un caso molto significativo: l’automobilista che si approssima alle strisce pedonali. Andiamo per latitudine: un tedesco sta molto attento per vedere se ci sono pedoni nei pressi che hanno qualche possibilità di voler attraversare e, in caso affermativo, si fermano molto dolcemente circa un dieci metri prima. Uno svizzero va per la sua strada, appena vede un pedone transitare in direzione della zebratura, ferma la macchina a tutti i costi, anche a costo di sperimentare l’air bag. Un italiano invece pensa solo alla strada e, casomai un pedone osasse provare ad attraversare, schiaccia a fondo l’acceleratore, anche a costo di doversi fermare esattamente sopra (in genere le strisce, ma non di rado il pedone stesso) causa coda per semaforo o ingorgo. Prelevando campioni dal variegato mondo degli automobilisti ecco cosa succede davanti a un semaforo verde: l’italiano, sulla falsariga delle strisce pedonali, da poco prima del verde a un po’ dopo il rosso passa a qualunque costo, anche a quello di fare un paio di metri, restare in mezzo all’incrocio e bloccare tutto il traffico. Uno straniero, in genere aspetta il verde e quindi si muove dopo aver controllato la possibilità si attraversare per intero l’incrocio; in caso contrario resta fermo. Provate a interpellare un italiano e uno straniero su questi comportamenti e analizzate le risposte; probabilmente entrambi, se messi a confronto faccia a faccia, pretenderanno di aver ragione e si accuseranno a vicenda. L’italiano potrebbe addirittura arrivare a dirvi che il passaggio pedonale è, per definizione, un attraversamento della strada e pertanto spetta ai pedoni essere molto attenti (non vorremmo che l’autista fosse ‘costretto’ a rallentare rischiando, nel suo pensiero, la figura del mollaccione) oppure che al verde lui ha diritto di passare (guai a toccare un ‘diritto’ a certa gente) e nessuno può impedirglielo. Lo straniero semplicemente risponderebbe che si tratta di elementari norme di civiltà, buon senso e rispetto reciproco. A parta la zuffa che ne seguirebbe, tralasciamo considerazioni etiche e moralistiche e limitiamoci a una domanda: è un segnale positivo arrivare a stupirsi quando una macchina si ferma per farci passare sulle strisce? Non è vero che si rimane sbalorditi al punto di arrivare a lasciarsi andare in smodati segni di ringraziamento e si attraversa timorosi temendo di essere stati attirati in un tranello per fare da bersaglio? Eppure per molti altri (ma se non sbaglio anche per qualche cosa che passa sotto il nome di ‘Codice della Strada’), la regola è che se un pedone vuole attraversare ci si ferma e si aspetta che questo abbia raggiunto il marciapiede.

Sempre sulle strade c’è un’altra situazione simile, ma anche più pericolosa. Se il pedone è in genere dotato di un istinto di conservazione che lo porta ad avere sempre particolare attenzione e riflessi negli attraversamenti, a volte un’usanza  radicata può generare equivoci perlomeno imbarazzanti. Siamo al volante su una strada principale e ci avviciniamo a una strada secondaria dove un altro automobilista attende tranquillo di uscire, oppure siamo in città è la macchina davanti a noi affianca per posteggiare in retromarcia, occupando parte, ma non tutta, della carreggiata. Oppure ancora ci avviciniamo a un’autovettura che ha messo al freccia per uscire da un posteggio nella nostra direzione o che deve fare qualche manovra. In casi come questi capita spesso che la macchina che sopraggiunge faccia un lampeggio con i fari all’altra; in pressoché tutto il modo questo segnale è un gesto di gentilezza, in pratica significa: “Prego faccia pure, io mi fermo e aspetto”. Oppure: “Prego passi pure, in fondo una macchina più o una meno non fa tanta differenza”. In Italia no! Se provate a pensare una cosa del genere siete dei pazzi, o forse, degli illusi. In un Paese dove la prepotenza ha forte presa, il gesto significa: “Passo io! E guai a te se provi a muoverti!”, magari aggiungendo un rinforzo del tipo “razza di brutto ******!”. Siamo proprio sicuri che siano gli stranieri (tutti) a essere così precisi, noiosi e pignoli?

Un impiegato pubblico, o comunque uno che lavora  a contatto con il pubblico, di solito viene assunto per svolgere un certo lavoro (in cambio naturalmente di uno stipendio). Alzi la mano chi, al pensiero di andar in un ufficio postale, un ufficio comunale, all’Inps, all’ufficio IVA, in questura, ecc. non ha avuto preoccupazione di: quanta coda si trova, se sarà il posto giusto, se ho tutti i documenti necessari, se ci sarà uno sciopero e se comunque andrà tutto bene. Rimaniamo più stupiti quando si verifica una di queste cose, oppure quando tutto fila liscio e ce la caviamo in pochi minuti (per adempiere a un obbligo, non per un piacere!)? Se uno solo ha optato per la seconda possibilità, allora non ho proprio capito niente della vita, altrimenti riflettiamo su una cosa: è logica una cosa del genere? Non ci pensa già abbastanza la burocrazia a complicarci la vita? È giusto restare stupiti quando un impiegato pubblico fa il suo dovere, ci tratta educatamente e ci assiste nella pratica? Perché deve essere colpa nostra se il computer non funziona (guai a sospettare che il soggetto non sappia da che parte cominciare a usarlo), se ci hanno chiesto di svolgere proprio quelle formalità? Mi sono sentito un idiota quando, mi trovavo in Svizzera, mi sono rivolto a un conoscente per chiedere consiglio su come viaggiare in treno. Questi, senza pensarci un attimo, alza il telefono, chiama la stazione e si intrattiene diversi minuti con l’interlocutore, ottenendo una serie di informazioni complete, esaurienti e, soprattutto gentili. Rilevato un evidente stupore nella mia espressione mi dice: “Lui è lì per quello. Si tratta del suo lavoro e del suo dovere. Se non lo fa bene può passare dei guai”. Provate a fare la stessa cosa in Italia e, dopo l’aria scocciata seguente a una qualsiasi domanda legittima, se abbozzate a una minima protesta, verrete immediatamente colpiti da una raffica di ingiurie e improperi mirate a farvi passare (voi) per maleducati, incivili e, soprattutto “senza rispetto per il lavoro degli altri”. In Italia questa frase è gettonatissima, soprattutto da chi il lavoro l’ha ottenuto per raccomandazione e, in modo inversamente proporzionale, alla voglia di lavorare e alla competenza.

Se un cittadino qualunque compie un piccolo reato, allora può anche passare guai seri. Potrebbe anche sembrare giusto, se non fosse che lo stesso reato, o molto di più, commesso da raccomandati, amici di amici di parenti di conoscenti ecc., trasforma il reo in vittima. E ottiene pure un indennizzo. Chi ricorda un ministro o un pubblico ufficiale italiano che si è dimesso a seguito di uno scandalo o di un reato accertato? Eventualmente fatemi sapere. Se proprio si vuole fare bella figura davanti alla pubblica opinione ecco che la persona viene ‘rimossa dal suo incarico, termine che in burocratese occulto significa: promozione in posizione più nascosta con corposo aumento di stipendio.

Siamo subito pronti a riconoscere che importiamo un sacco di delinquenza, eppure abbiamo inventato il ‘foglio di via’: lo straniero viene ‘invitato’ a lasciare il paese e tornare al suo di origine, dove probabilmente era braccato dalla giustizia. Certamente, terrorizzato da questa minaccia, lascerà di corsa l’Italia, pensando che mai riuscirà a dileguarsi e organizzare malavita in un territorio straordinariamente fertile.

In questo campo però il meglio si raggiunge con gli scafisti: affaristi senza scrupoli che pur di far soldi traghettano masse di persone disperate in condizioni estremamente rischiose. Qualunque stato degno di tale nome non esiterebbe a braccare tali persone e a difendere i propri confini con qualsiasi mezzo; le forze dell’ordine italiane si trovano invece nella sconsolante situazione di poter solo intimare a queste persone di fermarsi, con il divieto assoluto di sparare anche dopo che questi esseri hanno abbandonato (se non ‘buttato a mare’) il loro carico. Risultato: oltre ai migliaia di deportati sulle spiagge, la beffa per gli agenti di essere presi per il naso da questi scafisti che si allontanano indisturbati mandando ironici saluti. Più che tutela della persona (consideriamo questi esseri ‘persone’ e lasciamo che loro trattino i passeggeri da ‘bestie’?) questa mi sembra tutela esclusiva del delinquente: ben identificato, avvistato e lasciato agire in totale tranquillità. In compenso accogliamo un sacco di persone con l’accortezza di rimandare al mittente coloro che sono veramente disperati bisognosi e attendono pazientemente un aiuto, mentre si dà tutto il tempo ai delinquenti di dileguarsi.

Tutto questo in definitiva solamente per richiamare una riflessione e un sorriso non troppo di rassegnazione: siamo proprio sicuri che tutto ciò che da anni vediamo, facciamo e crediamo nello stesso modo sia la cosa ‘normale’. Se viviamo in città dove la maggioranza butta per terra qualsiasi rifiuto, vuol dire che sporcare è normale? Il ‘tanto lo fanno tutti’ è indice di estrema inciviltà, maleducazione e approssimazione intellettuale; qualche volta si potrebbe anche imparare dagli stranieri, oltre che prenderli in giro perché sono silenziosi, precisi o pignoli.

E se avessero ragione loro?


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