Le Poste e la tecnologia primordiale


Quante volte capita di sentire il politico o il funzionario di turno annunciare l’arrivo di nuovi e più funzionali servizi in qualche ramo della Pubblica Amministrazione? Se proviamo a pensarci, probabilmente quasi tutti i giorni; ben diverso però è quando ci scontriamo con la realtà, dove queste tanto osannate innovazioni in genere restano solo argomento di propaganda personale o per il proprio colore.

Quella che stiamo per affrontare è una serie di vicende tutte legate a uno stesso problema e vissute in prima persona che, da come si sono svolte, hanno quasi del grottesco; la storia potrebbe anche sembrare divertente (e forse e meglio che lo sia), se non fosse che è tutta rigorosamente vera.HH01580A.gif (1311 byte)

Da diversi anni a questa parte tutte le volte che mi reco in posta continuo a chiedermi per quale stano motivo sia possibile effettuare il pagamento dei bollettini di conto corrente praticamente solo in contanti; è mai possibile che alle Poste nessuno abbia mai sentito parlare di assegni, bancomat o carte di credito? Per gli assegni se pensiamo alla mentalità contorta della burocrazia italiana si può già arrivare a intuire come i nostri amministratori, forse perché si conoscono molto bene, abbiamo una certa diffidenza sulla solvibilità di un assegno, ma il Bancomat e la carta di credito, servizi garantiti da apparati quali banche e affini, c’è da chiedersi per quale misteriosa ragione questi strumenti di pagamento siano tanto osteggiati. Il pensiero più cattivo arriva alla conclusione che si tratta di mezzi troppo moderni per essere utilizzati da questo Ente, la realtà dei fatti invece, rivela che probabilmente questa supposizione è molto riduttiva: pagare in posta con un bancomat è infatti una provocazione tecnologica che viene presa dall’addetto come un’offesa personale sulle proprie competenze. Dalla reazione degli impiegati allo sportello infatti viene da credere che proprio di offesa si tratti e, alla luce dei risultati, questa offesa non è neanche tento presunta e fuori luogo.

Non me ne vogliano gli impiegati agli sportelli, sicuramente io stesso sono discutibile e criticabile in buona parte del mio lavoro, sicuramente sono stato vittima di una serie di casi sfortunati, eppure sto cercando di capire cosa c’è dietro queste strane vicende.

Il giorno che ho sentito annunciare finalmente la possibilità di pagare in posta con il Bancomat, mi sono lasciato incoscientemente trascinare da un certo compiacimento nei confronti di colui (sinceramente non ricordo neanche chi fosse, ma questo non ha grande importanza) che aveva fatto tale annuncio. Neanche lontanamente potevo immaginare le disavventure che mi avrebbe procurato quella decisione. Inizialmente la notizia provoca in me grande entusiasmo dato che uno dei miei problemi quando devo pagare in posta è che la banca si trova in un altro paese rispetto a dove abito e che ho bisogno di un ufficio postale abbastanza regolarmente per pagare le varie rate della macchina, rette di asilo nido, tasse, bolli, balzelli, e ammennicoli vari di tutte quelle sadiche organizzazioni che si fanno pagare tramite bollettino. In totale tutti i mesi si raggiungono cifre che possono anche arrivare al milione e, francamente, va molto oltre la mia usuale disponibilità di contanti (lo ammetto sono un tecnocrate maniaco delle innovazioni che pretende di pagare cifre sopra le centomila lire con carte di credito e simili). Appare quindi evidente, o almeno dovrebbe, il sollievo apportato da questa notizia (povero illuso).

Dopo aver lasciato passare alcune settimane mi reco in posta con un fardello di bollettini, la mia tesserina Bancomat e tanta fiducia verso questo bistrattato paese che, in fondo in fondo, tanto male non va; in fondo è solo un po’ più macchinoso quando si tratta di cambiare qualche cosa. Per non sembrare troppo irruente, mi accingo a chiedere delucidazioni sul servizio (in fondo abito in un piccolo paese di provincia e la novità potrebbe richiedere tempi tecnici un po’ più lunghi di quelli annunciati) quando, con piacevole stupore, leggo su un cartello scritto a penna che "Si informano i signori clienti che è possibile effettuare i pagamenti con il Bancomat. Si prega di avvisare l’impiegato allo sportello prima di cominciare l’operazione". Preso da un certo entusiasmo mi metto in coda totalmente inconsapevole di cosa potesse celarsi dietro la frase "Si prega di avvisare l’impiegato PRIMA di cominciare l’operazione".BS00852A.gif (2502 byte)

Arrivo allo sportello, informo che voglio pagare con la tessera magnetica e, subito lo sguardo dell’addetta (una donna abbastanza giovane per non aver paura di uno strumento del genere) cambia, diventando decisamente scuro e sospettoso come se avesse di fronte il professore più severo e intransigente della storia dei suoi studi. Rispettosa delle istruzioni impartite, afferra con sospetto la mia carta e comincia a lavorare sulla tastiera con il piglio esperto di chi vuole dimostrare di non potersi mai trovare in difficoltà sul lavoro (il SUO lavoro). Dopo qualche minuto, i movimenti cominciano a farsi decisamente meno sciolti e, in un dialetto a me totalmente sconosciuto, sento farfugliare parole che lasciano trasparire un misto di imprecazioni (non so se verso la macchina o verso di me), implorazioni (verso la macchina sicuramente) invocazioni del proprio Santo protettore. "Devo verificare se c’è la linea" è la frase che mi viene rivolta dopo altri imbarazzanti minuti, per farmi capire che Lei stava facendo tutto il possibile, e forse anche qualche cosa di più. Almeno così voleva farmi credere, ignorando assolutamente di avere davanti uno che di informatica qualche cosina la conosce, e per di più si tratta di un giornalista (miscela notoriamente instabile ed esplosiva). La coda intanto si allunga e dagli anziani costretti in piedi più del dovuto comincia levarsi qualche timida protesta, giusto per ingannare il tempo.

"C’è qualche cosa che non funziona nel computer" è la frase che mi viene rivolta dopo altri minuti di fiduciosa attesa. "In fondo si tratta delle prime volte - penso tra me e me -, sono cose che possono succedere" (sempre più illuso). Simulando squallidi malfunzionamenti nel pc la nostra sfortunata operatrice prova a chiamare una collega ritenuta (da lei) più esperta. "Questa qui ha sicuramente seguito un corso che l’impiegata non ha potuto frequentare", cerco di convincermi mentre adesso le mani che smanettano sulla tastiera sono quattro (quattro sono anche le dita che la utilizzano effettivamente, ma questo è un altro discorso). Dopo altri minuti di attesa non più tanto tranquilla, come un incubo ritorna la frase "Non c’è la linea!". Che cosa vuol dire che non c’è la linea? Forse che per risparmiare l’ufficio postale ha la linea telefonica in duplex, oppure che non hanno messo abbastanza monete nel telefono a gettone? Oppure ancora non avranno pagato l’ultima bolletta del telefono? Mentre questi dilemmi attraversano la mia mente maligna mi sento circondato, davanti e dietro, da sguardi sempre più ostili; di fronte da due signore che attraverso un vetro arrancano senza esito su quello che, se non sbaglio, dovrebbe essere una mansione che fa parte integrante del loro lavoro, dietro da una coda che sta diventano una folla sempre più impaziente e comincia a guardare con sospetto questo tale che non è venuto in posta con una bella mazzetta di bigliettoni come fanno tutti, salvo poi lanciare anatemi qualora venissero rapinati della pensione.

Sbirciando il programma utilizzato dalle due impiegate mi rendo conto (avendo lavorato parecchio nel settore della formazione sul software) di come rieseguano più volte le stesse operazioni nonostante un messaggio del tipo ‘errore nella procedura’ ripetuto di continuo induca a pensare che l’errore possa piuttosto essere nella sequenza di passaggi effettuati al terminale. Pur sapendo per esperienza diretta che l’azienda fornitrice di servizi alle poste non brilla certo per la qualità e la semplicità dei suoi prodotti, mi sembra difficile credere che, almeno una persona dell’ufficio, non sia stata istruito sulla corretta procedura da seguire.

Dopo altro tempo speso in coda, ormai siamo più vicini alla mezz’ora che ai venti minuti, riesco a capire che la procedura di apertura delle operazioni non era ancora stata effettuata (erano circa le 11 quando sono entrato nell’ufficio) e che era abitudine attivare l’opzione solo qualora un cliente avesse richiesto il servizio. In pratica è come se allo sportello di una banca si aspettasse ad accendere il terminale fino a quando non si presenta un cliente oppure se un negozio tenesse la saracinesca abbassata fino a quando un passate non dimostrasse apertamente la volontà di entrare.

Con uno sguardo tra il provocatorio e il supplichevole, un sorriso tirato della seconda impiegata, probabilmente la direttrice, è il preludio alla richiesta "E’ proprio sicuro che non ha i contanti?", facendo intendere che il tempo degli scherzi era finito. "Certo che no! Io ho sempre in tasca qualche milione per le piccole spese di ogni giorno….. Solo che li tengo nel doppio fondo della tuba che malauguratamente oggi ho scordato…..", è quello che vorrei tanto rispondere, ma trattengo a stento per il quieto vivere.

Al limite della mezz’ora l’aspro verdetto: "Non è possibile effettuare l’operazione – seguita dalla frase risolutoria – non c’è la linea", come a voler scaricare tutti i problemi su quel pezzo di cavo che naturalmente si trova fuori del raggio di competenza di un povero impiegato di ufficio postale. Tornato in possesso di tutto il malloppo, bollettini più tessera, mi dirigo stanco e desolato verso l’uscita, non senza incassare occhiate colme di disapprovazione da tutti i componenti della coda e sentendo una serie di accidenti lanciati alle spalle da oltre il vetro protettivo; una volta credevo servisse contro le rapine, adesso sono convinto: serve invece a mantenere l’incolumità degli impiegati dai clienti meno pazienti e comprensivi.ED00096A.gif (2608 byte)

Questa prima parte dell’avventura ha un finale molto meno tribolato; presa la macchina e raggiunto il paese vicino, mi presento al relativo ufficio postale dove rivolgendomi timidamente all’impiegato chiedo se è possibile pagare con il Bancomat (ci risiamo!). Mai averi pensato di ricevere in cambio uno sguardo del tipo: "Ma lei crede che noi viviamo nella preistoria?". "No, è solo che ho vissuto un’esperienza sconvolgente all’altro paese e avevo perso la cognizione che la realtà a volte esiste e funziona", è quello che lasciava trasparire la mia espressione di risposta.

Conclusione: qualche cosa come due minuti e dodici secondi passati davanti allo sportello (senza coda!) buona parte dei quali necessari per la stampa dei bollettini e della ricevuta; guarda un po’ che strano, la linea c’era; e c’era sempre stata (forse sono quelli che hanno il duplex con il primo ufficio e al mattino arrivano sempre primi).

Atto secondo: mese successivo e scena praticamente identica con la sola variante che, sapendo bene cosa mi aspetta, prendo una mattinata libera e, dopo pochi tentativi, sciolgo le nostre eroine dall’imbarazzo prendendo l’iniziativa di rinunciare al pagamento. Pazienza, mi farò un viaggetto in banca per procurarmi i tanto adorati contanti (mi viene il dubbio che dietro ci sia un racket dei trasporta valori, ma si sa, io sono un po’ maligno per natura….) e presentarmi allo sportello come si conviene.

Il mese dopo la scena si ripete. Per non passare da provocatore mando in missione speciale moglie e figlia in modo da far assumere alla situazione i connotati di esigenza da famiglia comune. Dopo qualche tentennamento causato dalla solita linea giocherellona che tende a nascondersi, l’operazione va in porto abbastanza tranquillamente, non senza una certa apprensione degli impiegati, che nei confronti di una giovane madre non può però essere trasformata in sintomo da persecuzione.

Appagato dalle vicende trascorse, decido di passare a una fase di studio per avere una visione più completa e realistica della situazione. Risvegliando l’animo giornalistico, mi avventuro verso un terzo ufficio postale che dovrà chiarirmi meglio la situazione e aiutarmi a capire sei si tratti veramente di carenze tecniche o di preparazione del personale (ancora più illuso!).

Il caso vuole che nella terza sede, al primo tentativo tutto fili liscio con un tempo di attesa per l’operazione praticamente trascurabile, soprattutto se paragonato a quello di un operazione in contanti. In pratica il tempo necessario è quello richiesto da un qualsiasi pagamento con Bancomat in un qualsiasi esercizio, ma questo dipende veramente dal traffico sulle linee, DOPO che l’operazione di registrazione dei bollettini è stata eseguita. Chiunque abbia vissuto un’esperienza del genere può testimoniare la durata per l’attesa del termine del pagamento, per esempio in un qualsiasi supermercato, dove certo non aspettano il primo cliente alla cassa per aprire le procedure di pagamento telematico.

Incurante di quello che mi aspettava, ritorno fiducioso dopo altri trenta giorni, senza dubitare della tranquilla riuscita di questa nuova spedizione, certo che riuscirò ad arrivare tranquillamente puntuale agli appuntamenti della mattinata. Giunto allo sportello un primo campanello d’allarme sarebbe dovuto risuonare in seguito alla constatazione di trovarsi davanti a una malcapitata ragazza appena assunta. Nonostante la buona volontà, la giovane promessa dell’Ente Poste non sa da che parte cominciare, ma per fortuna entra in gioco la collega ‘esperta’. In pochi minuti si passa dalla più assoluta tranquillità all’incubo totale di pochi mesi prima. Numerosi, e vani, tentativi di provare tutte le combinazioni possibili di tasti del programma, come se si cercasse di scardinare una cassaforte, non portano alcun risultato. Anzi, visto l’inoltro nella stagione estiva, qualche goccia di sudore lascia intuire un certo disagio e il sorgere di un certo astio nei confronti del ‘provocatore’ identificato nella mia persona. Circa mezzora più tardi, la solita lunga fila alle spalle e i già sentiti mugugni dialettali (che per mia fortuna non sono in grado di comprendere), ‘l’esperta’ e la sua allieva, decidono di interpellare una terza impiegata. Prestato soccorso morale alle prime due, essa saggiamente si trasferisce dietro a uno sportello in precedenza chiuso ed avvia l’operazione. Misteriosamente adesso la linea c’è e, guarda un po’, pigiando su pochi tasti, ma quelli giusti, l’operazione va in porto senza ulteriori difficoltà, segno forse che veramente si tratta di un problema di preparazione, ma questa è solo una conclusione personale.

Altre esperienze analoghe non sono andate molto diversamente; a quasi un anno di distanza dall’annuncio del servizio, la realtà è molto più approssimativa; l’unione dei macchinari ‘appaltati’ alle poste e la ‘disponibilità’ di alcuni impiegati rappresentano una miscela micidiale per chi può trovare pratico sfruttare certe opportunità tanto decantate. Ancora oggi la situazione non è molto cambiata; ogni volta ci si presenti con un Bancomat allo sportello, per prudenza, è sempre meglio incrociare le dita e prendersi una mezza giornata libera se non si vuole rischiare l’esaurimento nervoso. Se inoltre si scelgono momenti fuori dagli orari di punta, molte altre persone ve ne saranno grate, soprattutto se si trovano in coda dietro di voi. Ho visto gente che, alla vista di un cliente con Bancomat, si prodiga in scatti degni di un centometrista pur di non trovarselo davanti in una coda; il terrore è lo stesso che si prova nel trovarsi davanti una vecchia utilitaria guidata da un ottuagenario all’imbocco di un traforo a corsia unica.

Un’altra importante osservazione è relativa al caffè. Non recatevi a fare un pagamento di questo tipo dopo aver bevuto una tazzina di troppo; la crisi di nervi è sempre in agguato e non sarebbe igienico dare libero sfogo a certe tentazioni distruttive che potrebbero sopraggiungere. A questo proposito ricordatevi anche che: ‘il paese è piccolo e la gente mormora’; potreste rischiare di trovare un comitato spontaneo che affigge la vostra foto davanti all’ufficio postale e vi formino un picchetto appena osate avvicinarvi.AG00063_.gif (13191 byte)

Da un approfondito giro di consultazioni tra conoscenti, parenti e amici, risulta che in una grande città il problema si pone di meno, ma non è del tutto assente; in tanti uffici postali, infatti il servizio viene bollato come ‘non disponibile’ punto e a capo; se provate a chiedere spiegazioni attenti a voi: sarete subito apostrofati apertamente come prepotenti e provocatori senza rispetto per il lavoro altrui. In fondo bisogna capire queste persone; in effetti sarebbe come chiedere a un edicolante di vendervi un quotidiano, ma per fortuna il nostro stato non ha ancora pensato a gestire in proprio anche le rivendite di giornali.

Se vogliamo essere ottimisti pensiamo che questa situazione con il tempo non può che migliorare (ma non sottovalutiamo certi dipendenti statali delle poste) e quindi difficilmente (forse) in un ufficio postale potrà succedere qualche cosa di peggio. Anche se da un paese con i francobolli che vanno ancora leccati, e per giunta con la colla più disgustosa al mondo, ci si può aspettare di tutto; pensiamo a cosa potrebbe succedere il giorno che si volesse abilitare i pagamenti le carte di credito……

In conclusione: rallegratevi gente, qualunque cosa vi succeda in questi deliziosi uffici ci sarà sempre una solerte impiegata pronta a trattenervi ulteriormente per divertirvi, cercando di convincervi sulla convenienza di aprire un conto corrente alla Posta all’incredibile tasso del 1,75% all’anno; e vogliamo continuare a dire che in posta ci si annoia e ci si arrabbia soltanto?


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